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Sr. Raffaella Petrini e l’Ambasciatore di Panamá svelano l'immagine del francobollo per il centenario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e il Paese del Canale

L’amicizia contraddistingue i rapporti tra i due Stati

Tra le iniziative per il centenario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Panamá si inserisce anche l’emissione filatelica realizzata dal Servizio Poste e Filatelia del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. 

Una riproduzione del francobollo è stata simbolicamente svelata da Sr. Raffaella Petrini, Segretario Generale del Governatorato, e dall’Ambasciatore in congedo della Repubblica di Panamá presso la Santa Sede, S. E. la signora Miroslava Rosas Vargas. 

La cerimonia si è svolta, mercoledì sera, 21 agosto, presso la Basilica romana di San Lorenzo in Damaso, nel complesso del Palazzo della Cancelleria.

Tra i presenti, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, e il frate minore Agustín Hernández Vidales, Rettore Magnifico della Pontificia Università Antonianum.

Al termine della cerimonia, don Antonio Pelayo Bombín, consigliere ecclesiastico dell'ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, ha presentato la corposa pubblicazione dal titolo: Repubblica di Panamá – Santa Sede 1923-2023, che ripercorre i cento anni delle relazioni diplomatiche.

Precedentemente, il Cardinale Parolin aveva celebrato una Messa in occasione del congedo dell’Ambasciatore, S. E. la signora Miroslava Rosas Vargas.

Di seguito il discorso di Suor Raffaella Petrini:

Porgo il mio saluto a Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, a tutte le Autorità presenti e, in particolare, a Sua Eccellenza la Signora Miroslava Rosas Vargas, Ambasciatore di Panamá.

Oggi condividiamo un momento di saluto e di ringraziamento per l’intenso lavoro da Lei svolto in questi anni, tra i cui frutti sono felice di annoverare la collaborazione con il Governatorato, grazie alla quale l’importante traguardo dei cento anni delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Panamá è stato suggellato anche filatelicamente, con l’emissione della quale tra poco sveleremo l’immagine.

Iniziative come questa servono non solo a suscitare un positivo interesse da parte del vasto pubblico dei collezionisti, ma anche a sottolineare il sentimento di amicizia che contraddistingue i rapporti tra i due Stati coinvolti. È soprattutto questo il messaggio che si è voluto sintetizzare nell’immagine delle due bandiere, che convergono idealmente verso uno sfondo di rassicurante e benaugurante luminosità.

La saldezza dei legami tra la Santa Sede e la Repubblica di Panamá, d’altronde, è stata più volte sottolineata dai Sommi Pontefici nel corso di questi primi cento anni di relazioni diplomatiche, che Benedetto XVI definì “fluide e fruttuose”, e grazie alle quali l’operato della Chiesa e quello dello Stato “convergono”, come le nostre bandiere qui raffigurate, “nel bene comune degli stessi cittadini, stando al servizio della loro vocazione personale e sociale” [Discorso del 30 ottobre 2009].

Già nel 1947 Pio XII, riferendosi alla creazione della prima diocesi sulla terra ferma del nuovo mondo -Santa Maria la Antigua-, aveva definito la terra di Panamá “il primo luogo del Continente Americano dove fu posta la pianta evangelizzatrice (…) per dare al nuovo mondo ciò che di migliore e più divino il vecchio mondo possedeva, il messaggio di pace e di amore di Nostro Signore Gesù Cristo” [Discorso dell’11 ottobre 1947].

A queste parole si sono aggiunte, in tempi più recenti, quelle di Papa Francesco che, reduce dal viaggio a Panamá per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha dichiarato di aver incontrato un “popolo nobile”, di quella nobiltà che “non si compra”, ma si “eredita, si respira e si vive”. [Discorso del 13 giugno 2019]

A queste riflessioni, piene di sincera ammirazione per il popolo che Lei degnamente rappresenta, affido la conclusione del mio saluto, rinnovandoLe gli auguri per un sempre fruttuoso lavoro a favore del Suo Paese e assicurandoLe il mio ricordo e il mio sostegno nella preghiera.

Grazie.

 

 

 

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22 agosto: memoria liturgica della Beata Vergine Maria Regina

Non una Sovrana distante, ma una Madre tenera e vicina

“Fin dai primi secoli della Chiesa cattolica il popolo cristiano ha elevato supplici preghiere e inni di lode e di devozione alla Regina del cielo, sia nelle circostanze liete, sia, e molto più, nei periodi di gravi angustie e pericoli; né vennero meno le speranze riposte nella Madre del Re divino, Gesù Cristo, mai s'illanguidì la fede, dalla quale abbiamo imparato che la Vergine Maria, Madre di Dio, presiede all'universo con cuore materno, come è coronata di gloria nella beatitudine celeste”. Così Pio XII nell’Enciclica Ad Caeli Reginam, dell’11 ottobre 1954, con la quale istituì la festa liturgica della “Beata Maria Vergine Regina”.

L’attuale memoria ricorre il 22 agosto, nell’ottava della solennità dell’Assunzione. Questa celebrazione era stata inserita da Pio XII nel calendario liturgico al 31 maggio, a conclusione del mese mariano. San Paolo VI, con la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Mysterii Paschalis, con la quale approvò le norme generali per l'anno liturgico e il nuovo calendario romano, la collocò al 22 agosto, al termine degli otto giorni della solennità dell’Assunzione in anima e corpo al Cielo di Maria, facendola diventare l’epilogo glorioso della Madre di Dio, assisa accanto al Re e spendente come Regina, come recita l’antifona del giorno: “Alla tua destra è assisa la Regina, tessuto d’oro è il suo vestito (Cf. Sal 44, 10.14)”.

Nel corso dei secoli i fedeli si sono rivolti a Maria e alla sua potente intercessione presso Dio per trovare protezione, sostegno, conforto. Addirittura, interi popoli e nazioni si sono consacrati a Lei. Basti ricordare la Francia, con Luigi XIII che le affidò il regno e che nell’Assunta la riconosce e invoca come Patrona. O la Colombia, che Pio XII - nel radiomessaggio, del 6 luglio 1946, in occasione della conclusione del congresso mariano nazionale a Bogotà - definì: “Tierra de la Virgen; Colombia, Jardín mariano!”. O ancora il Continente africano, quando San Giovanni Paolo II - nel corso del viaggio pastorale in Benin, Uganda e Khartoum, all’Angelus, nel Santuario dei martiri ugandesi di Namugongo, domenica, 7 febbraio 1993 - invocò Maria, Regina d’Africa!: “Conduci tutti nel regno di santità, verità e vita del Signore. Tu che hai liberamente detto “sì” a Dio e sei diventata la Vergine Madre del suo unico Figlio rimani sempre vicino ai tuoi figli in Uganda. Possano essi rinascere nella speranza e possa il piano di salvezza di Dio compiersi in loro. Possa l’intera Africa conoscere e amare attraverso di loro il nome di Gesù Cristo nostro Salvatore”. O alla “Celeste Castellana d’Italia”, titolo mariano con cui è onorata Maria fin dal Medioevo e alla quale Benedetto XVI, nel discorso all’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, giovedì 4 ottobre 2007, affidò la materna protezione del popolo italiano. O la Polonia, alla quale Papa Francesco - in un videomessaggio ai pellegrini polacchi giunti a Częstochowa per celebrare i 300 anni dell’incoronazione dell’immagine di Maria Regina della Polonia – dedicò la sua riflessione: “È un grande onore avere per Madre una Regina, la stessa Regina degli Angeli e dei Santi, che regna gloriosa in cielo. Ma dà ancora più gioia sapere di avere per Regina una Madre, amare come Madre Colei che chiamate Signora. La sacra immagine mostra infatti che Maria non è una Regina distante che siede in trono, ma la Madre che abbraccia il Figlio e, con Lui, tutti noi suoi figli. È una Madre vera, con il volto segnato, una Madre che soffre perché prende davvero a cuore i problemi della nostra vita. È una Madre vicina, che non ci perde mai di vista; è una Madre tenera, che ci tiene per mano nel cammino di ogni giorno”.

Lo stesso affermava Santa Teresa di Lisieux: “Maria è più Madre che Regina”, che non significa sminuire il valore della Madre di Dio, ma sottolineare che la sua è un’intercessione materna e non espressione di dominio.

È importante considerare che la regalità di Maria non è come quella intesa dal mondo. Regnare per Maria è servire suo Figlio e in Lui l’umanità. Ella partecipa alla regalità di Cristo perché è sua Madre. Il Vangelo mostra Maria del tutto semplice, piccola, vicina ai suoi figli, perfetta discepola del Figlio. In Lei si scopre il privilegio della povertà e della piccolezza che caratterizza tutta la vita terrena di Gesù. Povertà e piccolezza che divennero per San Francesco una ragione di vita, come scrisse nella sua ultima volontà a Santa Chiara: “Io, frate Francesco, piccolino, voglio seguire la vita e la povertà del nostro altissimo Signore Gesù Cristo e della sua santissima Madre”.

D’altra parte, gli Atti degli Apostoli narrano che Maria dopo l'Ascensione si trovava in mezzo agli Apostoli in preghiera, ma non era Lei a guidare il gruppo, era Pietro. Tuttavia, il ruolo di Maria è insostituibile, quale collegamento tra il Figlio Risorto e i suoi discepoli in terra. Per questo, la regalità di Maria è una regalità di intercessione, come afferma San Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Marialis Cultus: “La solennità dell'Assunzione ha un prolungamento festoso nella celebrazione della beata Maria Vergine Regina, che ricorre otto giorni dopo, nella quale si contempla colei che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come Regina e intercede come Madre” (6).

In effetti, il fondamento teologico della sua regalità deriva dalla speciale partecipazione alla redenzione compiuta dal Figlio: “La beata Vergine, predestinata fino dall'eternità, all'interno del disegno d'incarnazione del Verbo, per essere la Madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l'alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore, concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, coll'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell'ordine della grazia” (cfr. Lumen Gentium, 61).

Nel corso dei secoli, la Chiesa ha dedicato a Maria molti inni, in cui viene onorata la sua regalità, tra i quali, Salve Regina, Regina coeli, Ave Regina cœlorum, e anche nelle Litanie Lauretane viene invocata più volte come Regina.

In questo periodo, caratterizzato dalla terza guerra mondiale a pezzi, come sottolinea Papa Francesco, tra i tanti titoli con i quali si invoca Maria forse è opportuno pregarla come Regina della pace. Memori di quanto scriveva San Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Marialis Cultus a proposito della solennità della Madre di Dio: “destinata a celebrare la parte avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la  Madre santa... per mezzo della quale abbiamo ricevuto... l'Autore della vita; ed è, altresì, un'occasione propizia per rinnovare l'adorazione al neonato Principe della Pace, per riascoltare il lieto annuncio angelico (cfr Lc 2,14), per implorare da Dio, mediatrice la Regina della Pace, il dono supremo della pace” (5).

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21 agosto: memoria liturgica di San Pio X

Il Papa del Catechismo e della prima Comunione ai fanciulli

“Nato povero, vissuto povero e sicuro di morir poverissimo”. Così scriveva nel suo Testamento San Pio X, al secolo Giuseppe Melchiorre Sarto. Un Papa di estrazione sociale umile, che giunse alla Cattedra di Pietro dopo aver percorso tutte le tappe della carriera ecclesiastica: cappellano, parroco, Vescovo, Cardinale, Patriarca.

Nato a Riese, in provincia di Treviso, il 2 giugno 1835, fu il primo dei dieci figli di Giovan Battista Sarto e Margherita Sanson. In famiglia maturò la vocazione al sacerdozio, ma a causa delle limitate risorse economiche, la sua aspirazione era destinata a rimanere tale. Il suo sogno, invece, si realizzò grazie all’intervento del Patriarca di Venezia, Jacopo Monico, anche lui originario di Riese, che gli concesse una borsa di studio per il Seminario di Padova. Purtroppo, la prematura morte del papà, condusse la famiglia all'indigenza e le cose si complicarono. Infatti, a Giuseppe, come capofamiglia, spettava di preoccuparsi di sostenere i fratelli e sua madre Margherita. Nel corso degli anni non venne mai meno al suo impegno, riuscendo a fornire di che vivere a tutti. Tuttavia, si deve considerare che furono gli sforzi di sua mamma a permettergli di proseguire la formazione in Seminario. Conclusi gli studi, Giuseppe Melchiorre ricevette l’ordinazione sacerdotale, il 18 settembre 1858, nel duomo di Castelfranco Veneto.

Per il primo incarico venne inviato come cappellano a Tombolo, in provincia di Padova, una piccola parrocchia di campagna, dove giunse il 29 novembre 1858. Vi rimase per ben nove anni, poi, nel 1867, dopo aver partecipato al concorso e risultato il primo classificato, venne nominato parroco a Salzano, importante borgo in provincia di Venezia, dove rimase per circa nove anni. È in questa parrocchia che iniziò a scrivere il Catechismo, caratterizzato da domande e risposte, che lo renderà famoso nel mondo. Nel 1875 divenne canonico della Cattedrale di Treviso e cancelliere vescovile, e poi vicario generale capitolare. Nel settembre 1884, Leone XIII lo nominò Vescovo di Mantova. A quel tempo, la diocesi si trovava in una situazione particolarmente difficile, sia al suo interno, sia nel rapporto con le autorità civili. Il nuovo Vescovo, rinomato per la fama di oratore e per la sua grande carità, seppe mediare e pacificare le diverse fazioni e promosse un profondo rinnovamento della vita cristiana. Riuscì a riaprire il Seminario, a rafforzare le cooperative operaie e a occuparsi della questione sociale. Grazie al suo impegno e alle sue capacità, la diocesi di Mantova ebbe una nuova primavera. Riconoscendo i suoi meriti, il 12 giugno 1893, Leone XIII lo creò Cardinale e, il 15 giugno seguente, lo nominò Patriarca di Venezia. Tuttavia, il suo ingresso nella città lagunare avvenne solo il 24 novembre 1894, perché il governo italiano non voleva concedere il beneplacito, in quanto il re era convinto di avere il diritto di scegliere lui il nuovo Patriarca. Tuttavia, la situazione si sbloccò e, durante il suo ministero episcopale, dimostrò ancora una volta di avere doti e risorse non indifferenti. In quel periodo conobbe Lorenzo Perosi, che incoraggiò a diventare sacerdote e al quale affidò la riforma del canto liturgico. Predilesse i poveri, ai quali donava tutto quello che possedeva. Non volle neppure che gli confezionassero una veste cardinalizia, ma fece riadattare dalle sue sorelle quella del suo predecessore, donando ai poveri il prezzo equivalente di una nuova. 

Il 20 luglio 1903 morì Leone XIII e venne convocato il conclave. Alla stazione ferroviaria, partendo da Venezia, il Patriarca salutò i presenti con la celebre frase: “Vivo o morto tornerò”.  Il 4 agosto 1903 venne eletto Papa e scelse di nome di Pio X. Durante il suo pontificato, ispirandosi al suo motto Instaurare omnia in Christo (“Rinnovare tutte le cose in Cristo”) promosse riforme incisive, come la riorganizzazione della Curia Romana, e delle varie Congregazioni, ma anche l’avvio della codificazione del diritto canonico, poi promulgato da Benedetto XV. Stabilì nuove norme per il conclave, eliminando ogni ingerenza del potere temporale. Fu un Papa vicino alla gente, promuovendone la formazione dottrinale anche attraverso il Catechismo che da lui prese il nome, caratterizzato da un linguaggio semplice e preciso. Importante per la formazione cristiana fu la decisione di anticipare la prima Comunione dei bambini verso i sette anni di età, “quando il fanciullo comincia a ragionare”. Portò avanti anche la riforma della liturgia e, in particolare, della musica sacra, riscoprendo il canto gregoriano.  Condannò il modernismo per difendere i fedeli da concezioni fuorvianti.

Purtroppo, al termine della sua vita, fu testimone dello scoppio del primo conflitto mondiale, con la dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia, il 28 luglio 1914, a un mese di distanza dal celebre attentato mortale a Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo e sua moglie Sofia.  Tanto che il 2 agosto successivo lanciò un accorato appello alla pace. Pio X morì nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1914.

Durante la sua vita era considerato un “Papa Santo” e la gente raccontava di episodi di guarigione avvenuti semplicemente toccando la sua veste. In risposta egli diceva: “Mi chiamo Sarto non Santo”. Venne beatificato, il 3 giugno 1951, da Pio XII e dichiarato Santo dallo stesso Pontefice, il 29 maggio 1954. Le sue spoglie mortali sono custodite in un’urna nella cappella della Presentazione della Vergine nella Basilica Vaticana.

Papa Francesco nella prefazione scritta al volume Omaggio a Pio X. Ritratti coevi (Edizioni Kappadue, 2023, pagine 574) di monsignor Lucio Bonora, officiale della Segreteria di Stato, sottolinea il suo legame con Papa Sarto: “Amo molto Pio X e l’ho sempre amato. Quand’ero a Buenos Aires, nel giorno della sua festa, il 21 agosto, solevo radunare i catechisti dell’arcidiocesi. Vado col pensiero e coi ricordi a quell’appuntamento, perché era un incontro che desideravo e che cercavo. Io godevo di passarlo con quanti si prodigano per istruire fanciulli e adulti nelle verità della fede e Pio X è sempre stato conosciuto come il Papa della catechesi. E non solo! Un Papa mite e forte. Un Papa umile e chiaro. Un Papa che fece capire a tutta la Chiesa che senza eucaristia e senza assimilazione delle verità rivelate, la fede personale si affievolisce e muore”.  

Nello stesso testo, il Papa aggiunge un dettaglio: “Io amo Pio X anche per un altro motivo. Perché, come Gesuita, dobbiamo a Pio X l’aver favorito la nascita dell’Istituto Biblico qui a Roma con benefici teologici e spirituali che presto si diffusero in tutta la Chiesa. Pio X fu anche un Papa che pianse di fronte alla guerra mondiale, di cui fu ritenuto la prima vittima, scongiurando i potenti di deporre le armi. Come lo sento vicino in questo momento tragico del mondo odierno”.

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Dedicata a San Giuseppe la centesima fontana dei Giardini Vaticani

Un unicum affascinante

“È un’opera che va ad incrementare il patrimonio artistico di questo incantevole spazio verde della Città del Vaticano, ricco di testimonianze storico-artistiche di varie epoche. Infatti, non solo i prati, i fiori, le piante, gli alberi, ma anche le torri, le casine, i tempietti, le fontane, le statue e le altre costruzioni fanno di questi Giardini un unicum affascinante”. Così Benedetto XVI, durante l’inaugurazione dell’ultima fontana realizzata nei Giardini Vaticani e intitolata a San Giuseppe, lunedì, 5 luglio 2010.

Si tratta dell’ultima fontana in ordine di tempo, ma non ultima per bellezza, la numero 100, che adorna i Giardini Vaticani. È dedicata a San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale e si trova nei pressi del Palazzo del Governatorato, sul pendio laterale antistante il piazzale. Iniziamo da questa opera artistica la nostra avventura alla scoperta delle fontane dei Giardini Vaticani.

Progettata dall'architetto Giuseppe Facchini, in collaborazione con l’architetto Barbara Maria Bellano, essa è come un libro aperto, formato da sei vele, dove sono collocate altrettante formelle in bronzo, opera dell’artista Franco Murer. Presentano episodi della vita di Giuseppe narrati dal Vangelo di Matteo e di Luca: lo sposalizio di Giuseppe e di Maria, il sogno di Giuseppe, la nascita di Gesù, la fuga in Egitto, il ritrovamento di Gesù nel Tempio tra i dottori e, infine, il lavoro di Giuseppe a Nazaret insieme con Gesù.

Nella prima formella, che ritrae lo sposalizio tra Giuseppe e Maria, si vuole sottolineare che il padre putativo apparteneva alla stirpe reale di Davide. Grazie al matrimonio con Maria, conferirà al Figlio il titolo legale di “figlio di Davide”, compiendo così le profezie.

Nella seconda formella è raffigurato il primo sogno di Giuseppe. Dopo la scoperta della maternità di Maria, egli aveva deciso di non ripudiarla, ma di rimandarla in segreto, come si legge nel Vangelo di Matteo (1,19). Un angelo, però, in sogno, gli spiegò che ciò che avveniva nella sua sposa era opera dello Spirito Santo, e quindi, fidandosi di Dio, accolse le parole del messaggero celeste e si coinvolse nel piano di salvezza.

La terza formella parla del mistero del Natale: nella notte della nascita del Figlio, Giuseppe è al fianco del Bambino e di Maria e si occupa di loro secondo la volontà del Padre. Un compito eseguito nel nascondimento e nel silenzio.

La quarta formella rappresenta un dramma vissuto dalla Santa Famiglia: la Fuga in Egitto. Per sfuggire alla persecuzione di Erode che voleva uccidere il Bambino, Giuseppe è costretto a lasciare in fretta la sua terra e a rifugiarsi in Egitto. Anche in questo caso, è un angelo ad avvisare in sogno Giuseppe di portare il Bambino in salvo.

Nel Vangelo di Luca si narra l’episodio del ritrovamento di Gesù nel Tempio, come si nota nella quinta formella. Giuseppe è preoccupato per la scomparsa di Gesù e quando lo trova si rallegra, ma riceve da Gesù una lezione sul primato della volontà di Dio che è superiore a ogni altra volontà.

Infine, la sesta formella, rappresenta il lavoro di Giuseppe nel laboratorio di Nazaret, insieme con Gesù. È il mistero del nascondimento del Figlio di Dio che solo Maria e Giuseppe custodiscono e vivono ogni giorno.

A questo proposito, Papa Francesco, nella Lettera Apostolica Patris Corde, dell’8 dicembre 2020, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale, sottolineava: “Sappiamo che egli era un umile falegname (cfr Mt 13,55), promesso sposo di Maria (cfr Mt 1,18; Lc 1,27); un ‘uomo giusto’ (Mt 1,19), sempre pronto a eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge (cfr Lc 2,22.27.39) e mediante ben quattro sogni (cfr Mt 1,20; 2,13.19.22). Dopo un lungo e faticoso viaggio da Nazaret a Betlemme, vide nascere il Messia in una stalla, perché altrove ‘non c’era posto per loro’ (Lc 2,7). Fu testimone dell’adorazione dei pastori (cfr Lc 2,8-20) e dei Magi (cfr Mt 2,1-12), che rappresentavano rispettivamente il popolo d’Israele e i popoli pagani”.

Ai piedi delle formelle si trovano due vasche: la prima di sei metri e la seconda comunicante di otto metri. La fontana è costruita con materiale in granito e porfido, della val di Genova e di Cembra. È collegata al sistema idraulico che alimenta anche le fontane di Piazza San Pietro.

L’acqua sgorga da una roccia situata nel centro e si getta nelle vasche ellittiche sottostanti. Dalla vasca superiore più piccola, l’acqua, per raggiungere il serbatoio più grande, forma una piccola cascata. L’acqua che sgorga rappresenta l’acqua viva che dona Cristo e che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14).

Alla base della fontana è stato collocato un grande stemma di Benedetto XVI ben visibile dalla cupola di San Pietro.

L'opera, realizzata dalle maestranze della Direzione dei Servizi tecnici del Governatorato, come allora si chiamava la Direzione delle Infrastrutture e Servizi, è stata donata al Papa dai Patrons of the Arts in the Vatican Museums, dai coniugi Hintze e Bob Castrigniano di Londra, ai quali si sono aggiunti alcuni Comuni e ditte della provincia di Trento, e le monache del Monastero di San Giuseppe a Kyoto.

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