Pinacoteca

L’edificio della Pinacoteca, ultimato nel 1931, fu voluto dal papa Pio XI (1922-1939) per riordinare una collezione di quadri, già appartenuti a diversi pontefici, iniziata da Pio VI (1775-1799). Molti dei dipinti esposti vennero trasportati a Parigi da Napoleone nel 1797, ma furono poi restituiti in seguito al Congresso di Vienna (1815) anche per l’intercessione dello scultore Antonio Canova. Le opere, che vanno dal Medioevo al 1800, sono esposte in ordine cronologico in diciotto sale.

Sala I - Vi sono raccolte opere di pittori del XII-XIII e XIV secolo, detti "primitivi" perché antecedenti Giotto. I dipinti su tavola lignea sono caratterizzati generalmente da fondo dorato, figure con contorni netti e colori uniformi, mancanza di prospettiva negli elementi architettonici. Spesso la figura principale è rappresentata al centro, mentre ai lati sono illustrate le storie della sua vita.

Sala II - È dedicata ai pittori senesi del XIV secolo e a Giotto (1267-1337), il più grande artista italiano del Medioevo. Degni di nota: "Gesù davanti a Pilato" di Pietro Lorenzetti (1280/1285-1348) nel quale l’estrema raffinatezza ed eleganza della pittura, caratteristica dei pittori di questa città, si esplica in forme sinuose e colori caldi; il "Redentore benedicente" di Simone Martini (1284-1344). Al centro è il "Trittico" di Giotto detto "Stefaneschi", dal nome del committente. Dipinto su entrambi i lati, raffigura sul pannello centrale San Pietro in trono con angeli e offerenti sul recto e Cristo in trono con angeli e offerente (cardinal Stefaneschi) sul verso. Da notare le raffinate decorazioni a mosaico del trono.

Sala III - Vi sono esposte opere di artisti del primo Quattrocento, periodo in cui si ebbe nella città di Firenze il passaggio alla nuova pittura: il fondo dorato tende a scomparire, le figure divengono sempre più solide, la prospettiva centrale presenta un unico punto di fuga nel quale convergono le rette che indicano la profondità.

Di notevole bellezza è la piccola tempera su tavola della "Madonna col Bambino, San Domenico e Santa Caterina" del frate domenicano Beato Angelico; qui le nuove teorie pittoriche si sposano perfettamente all’amore per la miniatura tipico del Medioevo.

Sala IV - Si trovano in questo ambiente opere del pittore emiliano Melozzo da Forlì (1438-1494): gli "Angeli Musicanti" sono frammenti di un vasto affresco che ricopriva il catino absidale della chiesa dei Santi Apostoli presso piazza Venezia e raffigurava "Cristo in gloria tra angeli e apostoli": le figure con scorci arditi, volti sereni e ariose capigliature sono spesso riprodotte nei testi di storia della musica.

Altro affresco staccato, opera del Melozzo, è "Sisto IV e il Platina" (1477) che raffigura la nomina del Platina a prefetto della Biblioteca Apostolica e ritrae in abito cardinalizio Giuliano della Rovere, futuro Giulio II. Tutti i personaggi sono inseriti entro un’architettura rigorosamente in prospettiva, con i classici motivi dei soffitti cassettonati ornati da rosette, modanature dorate e con ghirlande di rovere (anche Sisto IV apparteneva alla famiglia della Rovere).

Sala V - È dedicata ancora alla pittura del Quattrocento. Nel dipinto "Miracoli di San Vincenzo Ferrer" di Ercole de’ Roberti (circa 1450-1496) si ritrova un tema tipico della pittura italiana di questo secolo: il gusto per le rovine antiche e le architetture del passato.

Sala VI - Contiene polittici di artisti italiani del XV secolo spesso ancora legati ai modi trecenteschi (sfondo dorato, attenzione ai particolari).

Sala VII - Raccoglie opere della scuola pittorica umbra, tra le quali la "Vergine col Bambino e quattro Santi" del Perugino (1446-1524), terminata nel 1495, in cui l’artista compone i soggetti in pose pacate ed equilibrate, inserendole entro uno spazio architettonico a sua volta immerso in un paesaggio dolce e sereno. L’artista aveva già dipinto nella Cappella Sistina la "Consegna delle chiavi" (1461). Da notare il "San Girolamo in trono" di Giovanni Santi (?-1494), padre del grande Raffaello.

Sala VIII - Espone alle pareti un arazzo dell’Ultima Cena tratto dall’opera di Leonardo da Vinci (1452-1519) e arazzi fiamminghi del secolo XVI su cartoni di Raffaello (1483-1520): questi ultimi erano prima collocati all’interno della Cappella Sistina, nella parte inferiore delle pareti.

Al centro della sala sono esposte opere di Raffaello: a destra l’"Incoronazione della Vergine" del 1502-1503, appartenente alla fase giovanile; a sinistra la "Madonna di Foligno" (1511-1512), contemporanea alla fase di lavoro nell’appartamento di Giulio II noto come le "Stanze"; al centro, il capolavoro della "Trasfigurazione" (1518-1520), eseguito ad olio su tavola, nel quale l’artista mostra di subire l’influenza di Michelangelo nella drammaticità delle figure.

Sala IX - Contiene un’opera incompiuta di Leonardo: il famoso "San Girolamo" del 1482; da notare, in alto a sinistra, il paesaggio tipicamente leonardesco, fatto di ghiacciai e montagne remote, nonché la figura emaciata del Santo che, abbandonati tutti gli averi terreni, abbraccia la vita ascetica. Nella sala è collocato inoltre il "Compianto sul Cristo morto" del pittore veneto Giovanni Bellini (1430-1516).

Sala X - Contiene opere eseguite da alcuni dei maggiori pittori veneti del Cinquecento: a Tiziano (1490-1576) appartiene la "Madonna di San Niccolò dei Frari" con la bella donna velata a destra, mentre è di Paolo Caliari detto il Veronese (1528-1588) un dipinto rappresentante "Sant’Elena": ripresa dal basso è interpretata secondo una tipologia tipica dell’artista, come una ricca donna vestita con un ampio abito di broccato luccicante.

Sala XI - Sono esposte opere di pittori della seconda metà del Cinquecento, tra cui la "Lapidazione di Santo Stefano" di Giorgio Vasari (1511-1574), il "Sacrificio di Isacco" di Ludovico Carracci, l’"Annunciazione" del Cavalier d’Arpino, datata 1606, ed il "Riposo durante la fuga in Egitto" del Barocci (1528-1612).

Sala XII - È dedicata ai pittori del primo Seicento, che ereditarono dal Caravaggio il gusto per il realismo e gli scorci arditi; di particolare interesse sono la "Comunione di San Girolamo" dipinta dal Domenichino nel 1616, la "Crocifissione di San Pietro" e "San Matteo e l’angelo" di Guido Reni (1575-1642), "San Pietro che nega Cristo" di scuola caravaggesca, la "Deposizione dalla croce" del Caravaggio del 1604 ed il "Martirio di Sant’Erasmo" del pittore francese Nicolas Poussin.

Sale XIII, XIV e XV - Nella prima sala si trovano dipinti del fiammingo Van Dyck, dell’italiano Pietro da Cortona e del francese Nicolas Poussin, mentre nelle sale XIV e XV sono collocati quadri di "genere" del 1600 e 1700.

Sala XVI - In essa sono esposti quadri del pittore boemo Wenzel Peter (1745-1829), nato nei pressi di Praga: da segnalare il superbo "Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre" con una eccezionale varietà di fiori e animali. Nelle due salette attigue sono esposti modelli in creta di statue di Gian Lorenzo Bernini, realizzati per opere nella Basilica di San Pietro (sala XVII), e icone greche dal XV al XIX secolo (sala XVIII).

Stanze di Raffaello

Le "Stanze vaticane" costituivano gli appartamenti del papa Giulio II (1503-1513), che, non volendo abitare negli ambienti utilizzati dal suo predecessore Alessandro VI e già affrescati dal Pinturicchio, si era trasferito al piano superiore, nell’ala fatta costruire da Niccolò V a metà del Quattrocento.

Qui avevano già operato artisti allora ben più affermati di lui come il Perugino, suo maestro, ma Raffaello Sanzio (1483-1520), lasciato libero dal papa Giulio II di condurre a suo piacimento gli affreschi, cancellò quanto eseguito.Le Stanze sono state dipinte nel seguente ordine cronologico: Stanza della Segnatura 1508-1511, Stanza di Eliodoro 1511-1514, Stanza dell’Incendio di Borgo 1514-1517, Sala di Costantino 1517-1524.

Nell’esposizione si terrà conto dell’ordine della visita con un percorso obbligato.

La Sala di Costantino fu in gran parte realizzata dagli allievi di Raffaello, essendo il maestro morto all’improvviso il 6 aprile del 1520.

Tra i pittori più importanti del ciclo ricordiamo Giulio Romano e Francesco Penni. Gli episodi narrati sono: il "Battesimo di Costantino" nella Basilica di San Giovanni in Laterano, a destra dell’attuale ingresso; l’"Apparizione della Croce a Costantino" di fronte; quindi, nella parete davanti le finestre, la "Battaglia di Ponte Milvio", nella quale Costantino, secondo la tradizione, vide apparire la croce che gli preannunciava la Basilica di San Pietro), atto che avrebbe dato origine allo Stato della Chiesa (in realtà, questo nacque nel 756 con la famosa donazione di terre dell’Italia Centrale da parte di Pipino, re dei Franchi, alla Santa Sede).

Il soffitto, decorato dal pittore Tommaso Laureti nel 1585, rappresenta il "Trionfo del Cristianesimo" contro il paganesimo, simboleggiato dalla statua infranta a terra.

Si passa quindi al nucleo più antico, duecentesco, del Palazzo Pontificio; la Sala dei Chiaroscuri, affrescata su disegni di Raffaello nel secondo decennio del Cinquecento, e la Cappella Niccolina, luogo privato di preghiera del papa Niccolò V, dipinta dal 1447 al 1451 per opera di Beato Angelico, frate domenicano dedito all’arte della miniatura, che qui illustrò le Storie di Santo Stefano e di San Lorenzo.

Riprendendo il percorso delle Stanze di Raffaello, ci si trova nella Stanza di Eliodoro, la seconda ad essere eseguita dall’artista urbinate Raffaello tra il 1511 ed il 1514. Qui viene esaltato il potere spirituale e temporale della Chiesa, con interventi di Dio in favore degli uomini. Nella "Messa di Bolsena" è rappresentato il miracolo verificatosi, secondo la tradizione, nel 1263 quando gocce di sangue sgorgarono da un’ostia convincendo un prete boemo della veridicità della transustanziazione (trasformazione) del pane in corpo di Cristo e del vino in suo sangue. Da notare la presenza del papa committente, Giulio II, che assiste alla messa. La "Cacciata di Eliodoro" dal tempio di Gerusalemme vuole dimostrare l’inviolabilità del patrimonio della Chiesa: Eliodoro, che aveva rubato il tesoro del tempio ebraico di Gerusalemme, viene raggiunto da messaggeri divini mentre un gruppo di persone, tra cui lo stesso Giulio II, assiste alla scena; rispetto alla "Scuola di Atene" che si vedrà successivamente, il centro del dipinto vuoto e i colori scuri sono certamente influenzati dalla contemporanea pittura veneta. Anche nella "Liberazione di San Pietro dal Carcere" si riscontrano tonalità come le precedenti; si tratta di uno dei primi notturni della storia dell’arte italiana. L’affresco è diviso in tre episodi: l’angelo che appare a San Pietro e lo invita a seguirlo (al centro), la fuga di San Pietro e l’angelo (a destra), e il risveglio delle guardie sullo sfondo di un magnifico chiaro di luna (a sinistra).

Segue la "Stanza della Segnatura", la prima dipinta da Raffaello.

Il nome deriva dalla funzione di questo ambiente, destinato a biblioteca papale dove si firmavano gli atti ufficiali. Sono qui rappresentate le tre categorie neoplatoniche del Vero, del Bene e del Bello. Il Vero soprannaturale è raffigurato nella "Disputa del Santissimo Sacramento", quello razionale nella "Scuola di Atene", il Bene nelle raffigurazioni delle "Virtù" e della "Legge", mentre il Bello nel "Parnaso".

La "Disputa del Santissimo Sacramento" rappresenta in basso, ai lati di un altare con l’ostensorio, due ali di personaggi ecclesiastici che "discutono" sulle "verità" che stanno in cielo; in alto, disposti a semicerchio su un’esedra di nubi, siedono santi e profeti che conversano tra loro con tranquillità, perché hanno oramai potuto vedere in cielo quanto promesso in terra. Al di sopra è Cristo, attorniato dalla Madonna e San Giovanni, sovrastato dal Dio Padre, mentre ai piedi è la colomba, simbolo dello Spirito Santo. La prospettiva del pavimento ha il suo punto di fuga nell’ostensorio, elemento focale della composizione.

La "Scuola di Atene" è uno dei dipinti più famosi di Raffaello: sullo sfondo di un’architettura antica, simbolo probabilmente del nuovo San Pietro bramantesco, si trovano: al centro, Platone, con le sembianze di Leonardo, che punta il dito al cielo alludendo al mondo delle idee e Aristotele, che, volgendo il palmo della mano verso terra, indica, al contrario, il principio razionalista della sua filosofia. I due grandi protagonisti del pensiero antico sono attorniati da una moltitudine di filosofi con le sembianze di uomini del tempo, tra cui in primo piano Eraclito (Michelangelo), Euclide (Bramante) che disegna sulla lavagna una figura geometrica, Diogene quasi sdraiato sulle gradinate, Tolomeo e Zoroastro con in mano rispettivamente il globo e la sfera celeste. Il secondo personaggio a destra con il berretto verde è l’autoritratto di Raffaello.

Nel "Parnaso" sono rappresentati Apollo, circondato dalle muse, e famosi poeti e letterati. Si riconoscono, tra gli altri, sulla sinistra, Omero che volge il volto al cielo, e Dante, ritratto di profilo.

Nell’ultima sala dipinta su commissione di Leone X Medici (1513-1521) e che prende nome dal dipinto principale, sono rappresentati i grandi avvenimenti storici avvenuti sotto i papi di nome Leone: l’"Incendio di Borgo" raffigura l’intervento miracoloso del papa Leone IV nell’847 che, affacciandosi alla finestra della Loggia delle Benedizioni, provocò lo spegnimento, con il segno della croce, di un grandioso incendio sviluppatosi nel quartiere attorno alla Basilica Vaticana. Gli altri affreschi sono il "Giuramento di Leone III", l’"Incoronazione di Carlo Magno" da parte dello stesso papa Leone III nell’anno 800, nonché la "Battaglia di Ostia" condotta vittoriosamente da Leone IV contro i Saraceni, svoltasi sul litorale romano nell’849: tutti gli affreschi sono opera di aiuti del grande Raffaello.

La costruzione delle "Logge" ebbe inizio nel 1508 per opera dell’architetto Donato Bramante; alla sua morte (1514) i lavori proseguirono sotto la direzione di Raffaello, cui si devono anche gli affreschi del secondo piano.

Questi, realizzati grazie anche alla collaborazione dei suoi allievi, costituiscono la risposta pittorica al suo rivale Michelangelo, a tal punto che l’artista ripropose per la maggior parte gli stessi temi della Genesi nella Cappella Sistina.

Gli affreschi del primo piano e del terzo piano sono invece opera dei pittori cinquecenteschi Giovanni da Udine, Giulio Romano e Perin del Vaga.

Si notino in particolare le decorazioni a "grottesche", caratterizzate da motivi vegetali misti a bizzarre figure umane o animali, eseguite ispirandosi ai dipinti dell’appena scoperta Domus Aurea, residenza dell’imperatore Nerone (54-64 d.C.).

Cappella Sistina

La Cappella Sistina deve il nome al suo committente, il papa Sisto IV della Rovere (1471-1484), che volle edificare un nuovo grande ambiente sul luogo dove già sorgeva la "Cappella Magna", aula fortificata di età medioevale, destinata ad accogliere le riunioni della corte papale. Quest’ultima al tempo contava circa 200 membri ed era composta di un collegio di 20 cardinali, di rappresentanti degli ordini religiosi e delle grandi famiglie, del complesso dei cantori, di un gran numero di laici e di servi. La costruzione Sistina doveva rispondere inoltre ad esigenze difensive nei confronti di due pericoli incombenti: la Signoria di Firenze, retta dalla famiglia dei Medici, con i quali il papa era in continua tensione, e i turchi di Maometto II, che proprio in quegli anni minacciavano le coste orientali dell’Italia. La sua realizzazione ebbe inizio nel 1475, anno del Giubileo indetto da Sisto IV, e si concluse nel 1483 quando, il 15 agosto, la Cappella, dedicata alla Vergine Assunta, venne inaugurata con solennità dal papa. Il progetto dell’architetto Baccio Pontelli riutilizzava fino ad un terzo dell’altezza le murature medioevali.

Secondo alcuni studiosi, le dimensioni dell’aula (40,23 metri di lunghezza, 13,40 metri di larghezza e 20,70 metri di altezza) ricalcherebbero le misure del grande tempio di Salomone a Gerusalemme, distrutto nel 70 d.C. dai Romani.

L’ingresso principale della Cappella, che si trova sul lato opposto della piccola entrata che costituisce oggi l’accesso usuale, è preceduto dalla grandiosa Sala Regia, destinata alle udienze. Finestre centinate (arcuate superiormente) ne assicurano l’illuminazione e una copertura con volta a botte si raccorda alle pareti laterali con lunette e vele triangolari. La cantoria sul lato destro ospitava un tempo i componenti del coro, mentre il sedile in pietra posto su tre lati del salone, con esclusione di quello dell’altare, era destinato alla corte papale. La raffinata balaustra quattrocentesca sormontata da candelabri divide l’ambiente riservato al clero da quello destinato al pubblico: fu arretrata alla fine del Cinquecento per rendere il primo spazio più ampio. La splendida pavimentazione a mosaico, rimasta ancor oggi intatta, risale al 1400 e fu realizzata su modelli medioevali. Ultimata nel 1481 la struttura architettonica, il papa Sisto IV chiamò a lavorare nella Cappella famosi pittori fiorentini, come Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Signorelli, nonché umbri, quali Perugino e Pinturicchio.

Essi decorarono le pareti laterali, divise in tre fasce orizzontali e scandite verticalmente da eleganti lesene. Nella parte inferiore furono realizzati ad affresco finti drappi damascati con le insegne del pontefice; sopra di essi venivano appesi arazzi (alcuni, eseguiti da Raffaello e suoi aiuti nel secondo decennio del Cinquecento, si trovano oggi nella sala a lui dedicata della Pinacoteca Vaticana); nella fascia mediana, la più importante, furono dipinte scene di Storie bibliche con episodi della vita di Mosè e di Cristo, entrambi concepiti quali liberatori dell’umanità; in quella superiore, all’altezza delle finestre, furono fatti realizzare da Sisto IV, i ritratti dei primi pontefici, inseriti entro nicchie monocrome, per dimostrare la continuità del suo mandato con i suoi predecessori.

Il soffitto della Cappella, come mostra un famoso disegno del Cinquecento oggi agli Uffizi, era stato infine decorato fino alle lunette con stelle dorate su fondo azzurro ad opera del pittore Pier Matteo d’Amelia.

Toccò quindi al nipote di Sisto IV, l’intraprendente Giuliano della Rovere, divenuto papa con il nome di Giulio II (1503-1513), far completare le decorazioni pittoriche all’interno della Cappella. Egli nell’ambito di grandioso rinnovamento della città, chiamò a Roma Michelangelo Buonarroti (1475-1564), artista già famoso a Firenze e al quale aveva in precedenza affidato altri incarichi, che accettò, non senza iniziali polemiche, di decorare "a fresco" la volta. L’opera venne compiuta in quattro anni di duro lavoro (dal 1508 al 1512) ed ha come tema la storia dell’umanità nel periodo che precede la venuta di Cristo.

La pittura della parete con il "Giudizio Universale" fu eseguita invece dallo stesso artista più tardi: dal 1536 al 1541, su commissione del papa Paolo III Farnese (1534-1549), il quale aveva a sua volta confermato l’incarico del precedente papa Clemente VII (1523-1534). Il tema rappresentato questa volta è il Fato ineluttabile che incombe su tutti gli uomini, del cui destino Dio è arbitro assoluto.

Le Storie bibliche delle pareti laterali:
Sulle pareti sono rappresentate: sulla sinistra, guardando il Giudizio, le scene tratte dall’Antico Testamento, con le Storie di Mosè, salvatore del popolo ebraico; sulla destra, quelle tratte dal Nuovo Testamento con le Storie di Cristo, salvatore di tutta l’umanità. Esse possono quindi essere lette in parallelo. Originariamente comprendevano anche il "Ritrovamento di Mosè" e la "Natività di Gesù", eseguite sulla parete dell’attuale Giudizio e quindi cancellate da Michelangelo nel 1534. Il ciclo si conclude nella parete dell’ingresso principale con la "Disputa per la salma di Mosè" e la "Resurrezione di Cristo", entrambi ridipinti nel Cinquecento.Le scritte in alto, recentemente restaurate, sono chiamate tituli e si riferiscono ai contenuti dei riquadri sottostanti.

- Parete di sinistra

Il primo dipinto, il "Viaggio di Mosè in Egitto", attribuito al Perugino, rappresenta il momento in cui "Mosè (...) prese sua moglie e i figli, li fece salire sopra un asino e si dispose a tornare in Egitto, portando in mano la verga datagli da Dio" (Esodo 4,20). Ma durante il viaggio – e qui il dipinto si discosta dal racconto biblico – venne fermato da un angelo che gli ordinò la circoncisione del secondogenito (a destra).

Segue il riquadro con le "Prove di Mosè", opera del Botticelli e della sua bottega. È uno dei più complessi, per il sommarsi di diversi episodi: a destra, l’uccisione di un egiziano che aveva percosso un ebreo, la fuga nel paese di Madian, l’incontro con alcune fanciulle locali e l’abbeveramento del loro gregge, l’apparizione del Signore da un cespuglio di fuoco (a sinistra) e, in alto al centro, l’apparizione di Dio che invita Mosè a togliersi le scarpe al Suo cospetto (Esodo 2,11-20 e 3,1-6). Da notare le due splendide figure femminili in primo piano, tipicamente botticelliane.

Il "Passaggio del Mar Rosso" è attribuito al pittore Biagio d’Antonio (1446-1516). Mosè ed il suo popolo, in fuga dall’Egitto, inseguiti dall’esercito del Faraone, riescono a passare il Mar Rosso perché Dio fa ritirare davanti a loro le acque; queste si richiudono sopra gli Egiziani inseguitori che, in questo modo, muoiono insieme ai loro cavalli (Esodo 14,23-30). In basso a sinistra, una donna suona un inno di ringraziamento al Signore (Esodo 15,1-20).

La "Consegna delle Tavole della Legge", attribuito a Cosimo Rosselli, illustra il racconto biblico del vitello d’oro: Mosè era asceso al Monte Sinai per ricevere le Tavole della Legge (Esodo 23,12-15), e gli Ebrei, non vedendolo tornare, si radunarono intorno al sacerdote Aronne; quindi raccolsero anelli e oggetti d’oro e foggiarono un vitello da porre sopra un altare per adorarlo. Quando Mosè scese dal Monte con le due Tavole della Legge, vedendo la sua gente che aveva contravvenuto al divieto di rappresentare immagini sacre, le spezzò adirato (Esodo 32,1-19).

Il "Castigo di Core, Datan e Abiron", del Botticelli, si riferisce alla rivolta contro il Signore, durante il viaggio verso la terra promessa, da parte degli Ebrei, che lamentavano le cattive condizioni di vita cui erano stati costretti da Mosè; ma Dio li punì facendo aprire all’improvviso sotto i loro piedi la terra, che li inghiottì con tutti i loro averi (Numeri 16). Da notare, sullo sfondo della scena, l’Arco di Costantino a Roma.

Anche nel "Testamento e morte di Mosè" del Signorelli sono rappresentati più episodi: a destra, Mosè impartisce la sua benedizione ai figli di Israele (Deuteronomio 33) e, a sinistra, cede la verga del comando a Giosuè. In alto: al centro, l’angelo che indica la terra promessa e, a sinistra, la morte di Mosè.

- Parete di destra

Il "Battesimo di Cristo", con episodi tratti dal Vangelo secondo Matteo, è del Perugino. A sinistra è rappresentata la predica di Giovanni, che precede il Battesimo di Cristo; in primo piano l’episodio che dà il nome all’affresco e a destra la predica di Gesù ai seguaci. Da notare, al centro dell’opera, la rappresentazione della Trinità: sopra il Cristo è infatti la colomba dello Spirito Santo e, racchiusa entro un tondo, la figura dell’Eterno circondato da angeli.

Il secondo riquadro illustra le "Tentazioni di Cristo" e la "Purificazione del lebbroso" del Botticelli, episodi tratti sempre dal Vangelo secondo Matteo. Si tratta dei vani tentativi di Satana nei confronti del Cristo (sfida a trasformare le pietre in pani, a gettarsi dall’alto di un tempio facendosi salvare dagli angeli, offerta di tutte le bellezze del mondo mostrategli dall’alto di una rupe) per spingerlo ad adorarlo (Matteo 4,1-11).

Al centro è la purificazione di un lebbroso secondo il rito ebraico.

Da notare, sullo sfondo, la facciata dell’Ospedale di Santo Spirito, tra l’attuale via della Conciliazione ed il Tevere, costruito da papa Sisto IV.

La "Vocazione dei primi apostoli" è del Ghirlandaio ed illustra alla lettera il testo biblico (Matteo 4,18-22), rappresentando Gesù che invita i fratelli pescatori Pietro ed Andrea (a sinistra) ad inginocchiarsi davanti a Lui (in primo piano) e chiama a sé Giacomo e Giovanni che si trovano su una barca (leggermente in alto a destra).

Il "Discorso della montagna" (Matteo 5,1-12), attribuito a Cosimo Rosselli, rappresenta: a destra la guarigione del lebbroso (Matteo 8,1-4); a sinistra Cristo mentre pronuncia le famose "beatitudini". Esso è in correlazione con il dipinto sulla parete opposta dove Mosè riceve le Tavole della Legge.

La "Consegna delle chiavi" della Chiesa da parte di Gesù a Pietro del Perugino è forse il dipinto più bello delle pareti della Cappella Sistina. Sullo sfondo di una pavimentazione in prospettiva, è posto un tempio ottagono tipicamente rinascimentale, affiancato da due archi trionfali simili a quello di Costantino a Roma, quasi a significare la continuità tra passato e presente.

L’"Ultima Cena" di Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio è caratterizzata dalla presenza di un tavolo semiottagonale, cui fanno riscontro analoghe forme delle pareti e del soffitto. Giuda è ritratto di schiena e porta sulle spalle un piccolo diavolo. Sullo sfondo, l’Orazione nell’orto, la cattura di Gesù e 

Con i suoi 800 metri quadrati di pittura "a buon fresco", è il grande capolavoro di Michelangelo, uno dei cicli più importanti della pittura mondiale. L’opera fu iniziata nel maggio del 1508, subendo un’interruzione di circa un anno, dal settembre del 1510 all’agosto del 1511. La Cappella venne inaugurata solennemente da Giulio II il primo novembre del 1512.

Il programma iconografico si riconnette ai temi dipinti sulle pareti laterali, illustrando la lunga attesa dell’umanità per la venuta di Cristo, le profezie che preannunciarono questo evento e la genesi della Creazione del mondo. Tutte le figure sono inserite entro una monumentale struttura architettonica dipinta che si sovrappone alla volta reale.
La lettura dei dipinti si può quindi articolare in tre parti.

Prima parte: nelle vele triangolari e nelle lunette sopra le finestre sono collocati gli Antenati di Cristo secondo l’elencazione del Vangelo di San Matteo (1,1-17). Costretti entro spazi angusti e poco profondi, uomini e donne, che rappresentano l’umanità e il succedersi delle generazioni, attendono, con pose e atteggiamenti diversi, il grande evento della Rivelazione: appaiono stanchi, affranti, spesso sofferenti per l’inattività ed esasperati per il trascorrere lentissimo del tempo che li separa dalla nascita di Cristo. Alcuni di questi dipinti evidenziano una straordinaria abilità tecnica, come la figura di Mathan (sulla parete dell’antico ingresso) o quella di Iosaphat (al centro della parete con le Storie di Cristo), affrescati rapidamente con veloci colpi di pennello e con colori molto fluidi.

Nelle quattro vele angolari sono raffigurati episodi che alludono alla salvazione del popolo d’Israele. Iniziando dalla parte dell’antico ingresso si trovano:

- a destra, "Giuditta e Oloferne": è qui illustrato il momento in cui la giovane fanciulla ebrea, fatto ubriacare e ucciso il generale assiro Oloferne, che aveva avuto ordine dal re babilonese Nabucodònosor di muoverecontro l’esercito israeliano, ne consegna la testa alla sua ancella (Giuditta 13,8-10);

- a sinistra, la vela con l’episodio di "Davide e Golia": durante la guerra tra Ebrei e Filistei, il giovane Davide ebbe il coraggio di battersi contro il gigante Golia, che aveva giurato che avrebbe ridotto il popolo ebraico in schiavitù, se fosse riuscito a sconfiggere l’esercito giudeo (1 Samuele 17,41-51).

Verso la parete del Giudizio, le vele rappresentano:

- a destra, il "Serpente di bronzo", a rievocare l’episodio biblico in cui il Signore inviò serpenti contro gli Israeliti; essi infatti, marciando verso la terra promessa, scoraggiati dalle fatiche, avevano suscitato contro di loro la Sua ira e quella di Mosè (Numeri 21,8); pentitosi del suo comportamento, il popolo in marcia nel deserto fu perdonato: Iddio disse dunque a Mosè di foggiare un serpente di bronzo; chiunque, dopo essere stato morso da un serpente, lo avesse guardato, si sarebbe salvato;

- a sinistra, la "Punizione di Amàn", episodio tratto dal libro di Ester, che ricorda la morte di un giovane visir di nome Amàn; questi aveva fatto promulgare un editto contro gli Ebrei, in base al quale chiunque non si fosse inchinato di fronte al re sarebbe stato ucciso. Ma Ester, moglie di un re persiano, riuscì a far ritirare il decreto, salvando in questo modo il popolo d’Israele, e a mandare a morte il visir Amàn. Le vele sono sormontate da ignudi bronzei in pose simmetriche e da bucrani (teschi di buoi), motivo ornamentale classico che allude ai rituali sacrificali.

Seconda parte: nella fascia esterna, seduti su possenti troni delimitati da putti nudi monocromi su plinti, trovano posto le splendide figure dei sette Profeti biblici e delle cinque Sibille pagane: hanno in comune l’aver preannunciato la venuta di Cristo. I vari personaggi sono accompagnati, in secondo piano, da angeli o putti che ne sottolineano la funzione. Ognuno è ripreso nell’atto di leggere un libro o srotolare una pergamena, impegnato in uno straordinario sforzo spirituale e fisico al tempo stesso. Tra le figure più belle la Sibilla Delfica, ed i profeti Ezechiele e Giona: quest’ultimo è rappresentato accanto al pesce entro cui rimase per tre giorni, lo stesso tempo di permanenza di Cristo nel sepolcro prima della Resurrezione.

Terza parte: nei rettangoli centrali sono nove scene, quattro più grandi e cinque più piccole, tratte dal libro della Genesi, con tre episodi che concernono la creazione del Mondo, tre la storia di Adamo e tre le vicende di Noè. Michelangelo iniziò a dipingere la volta da questi ultimi episodi riservandosi, forse volutamente, per un secondo tempo le scene in cui appare il Creatore.

Le tre creazioni hanno inizio con il riquadro della "Separazione della luce dalle tenebre" (Genesi 1,3-4), caratterizzato dalla figura del Creatore che, avvolto entro un drappo rosa, occupa quasi tutto lo spazio a disposizione in uno scorcio prospettico molto complesso. Il dipinto fu eseguito da Michelangelo in una sola giornata di lavoro, secondo quanto hanno dimostrato i recenti studi effettuati in seguito alla pulitura.

Ad esso segue la "Creazione degli astri e delle piante", scena divisa in due parti asimmetriche, in ognuna delle quali compare la figura del Signore: a destra, Egli è ripreso frontalmente, con un gesto che tutto sembra travolgere, mentre crea i cerchi del sole splendente e della più pallida luna; a sinistra, con ardita visione di spalle, Egli è raffigurato mentre dà origine al mondo delle piante (Genesi 1,12-16).

 

Il terzo riquadro è quello della "Separazione della terra dalle acque" (Genesi 1,7-9), anch’esso di grande suggestione per una visione prospettica mai tentata prima.

Ed ecco poi la famosissima "Creazione di Adamo", composizione il cui fulcro, leggermente spostato a sinistra, è costituito dalle due mani dei protagonisti appena scioltesi dalla stretta. Splendido è il corpo di Adamo. La figura di Dio è avvolta da un drappo di colore rosa e affiancata da angeli privi di ali e dall’espressione stupefatta. È interessante notare come, in realtà, le due figure del Creatore e di Adamo siano state ottenute da un medesimo cartone preparatorio quasi a suffragare l’affermazione biblica secondo la quale "Iddio creò l’uomo a sua immagine" (Genesi 1,27).

Segue poi la "Creazione di Eva". Da notare come nel dipinto di Michelangelo la prima donna nasca dalla viva roccia e non dalla costola di Adamo secondo il racconto biblico.

Il sesto comparto è occupato dal "Peccato Originale" (a sinistra) e dalla "Cacciata dal Paradiso Terrestre" (a destra), episodi divisi dall’albero del male sul cui tronco si avvolge il serpente e dietro cui spunta, in alto, l’Arcangelo Gabriele. L’albero, in posizione leggermente asimmetrica rispetto al centro della composizione, è cesura tra un paesaggio lussureggiante e una natura arida, espressioni del diverso determinarsi della condizione umana. Anche i corpi dei progenitori appaiono differenti dopo il peccato, quasi invecchiati, a dimostrazione di come, per Michelangelo, l’aspetto fisico sia anche espressione della spiritualità interiore.

La settima scena, il "Sacrificio di Noè", riguarda il ringraziamento del Patriarca al Signore dopo il diluvio. In primo piano, l’offerta delle viscere di un ariete: "Poi Noè eresse un altare al Signore, prese di ogni specie di animali puri e di ogni specie di uccelli puri e li offrì in olocausto sull’altare" (Genesi 8,20).

Il "Diluvio Universale", nell’ottavo riquadro, è liberamente tratto dai capitoli 7 e 8 della Genesi. Presenta a destra una tenda sotto la quale si rifugiano atterriti coloro che saranno vittime del diluvio; al centro, i pochi superstiti vengono portati in salvo da Noè che, con una barca, li avvia verso l’arca, simbolo della Chiesa, raffigurata in alto a sinistra. In primo piano, impostata su una diagonale, è descritta la salvazione: dopo il diluvio ed il ritiro delle acque, i superstiti approdano sulla terra trasportando con sé i pochi beni materiali messi in salvo. La scena è popolata da ben 60 figure che si stagliano su un fondo chiaro, in un paesaggio profondo. Fu probabilmente questo il primo episodio ad essere stato eseguito da Michelangelo: da allora in avanti l’artista preferirà immagini più grandi, con scorci sempre arditi e compositivamente complessi. Uno scoppio avvenuto nel 1797 nel deposito delle polveri di Castel Sant’Angelo, ha purtroppo fatto crollare una parte del cielo dove, come dimostrano stampe cinquecentesche, era rappresentato un fulmine.

Segue, nel nono riquadro quello più vicino all’ingresso originario della Cappella, l’"Ebbrezza di Noè" (Genesi 9,20-23 ), che rappresenta la ripresa della vita e dell’attività agricola sulla terra. "Noè cominciò a fare l’agricoltore e piantò una vigna; ne bevve il vino, s’inebriò e dormiva ignudo in mezzo alla sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e corse fuori a dirlo ai suoi fratelli.

Ma Sem e Jafet presero un mantello, se lo misero sulle spalle, e camminando all’indietro, coprirono le nudità del loro padre; e siccome avevano la faccia volta indietro non videro le sue nudità".

Le scene della Genesi sono contornate dagli Ignudi, straordinarie figure maschili, dalla possente corporatura, che forse alludono alla bellezza dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio: seduti sopra cubi di marmo, con pose "avvitate", essi sostengono festoni o tendono nastri cui sono legati grandi medaglioni di bronzo con scene ancora tratte dall’Antico Testamento. Notevole è la loro funzione compositiva, perché interrompono la continuità delle membrature e legano i diversi riquadri della Genesi. È stato osservato che "la loro presenza, su ciascuno dei quattro risalti, serve ad inquadrare nel modo apparentemente più spontaneo le scene minori, e quindi svolge un compito essenziale nel ritmo alterno dei nove scomparti" (R. Pane, 1964). Tale funzione essenziale si può comprendere meglio osservando, tra la prima e la seconda scena, l’arcone che è stato privato del dipinto per la caduta nel 1797 di una parte di affresco. Dal punto di vista pittorico sono ancora da notare alcuni importanti particolari: l’ingrandimento delle figure degli Ignudi e del Redentore in direzione dell’altare; l’uso diversificato dei colori, stesi più densi nelle Storie di Noè e più rapidamente nelle ultime scene. Le immagini in primo piano, infine, sono messe a fuoco con contorni netti e precisi, mentre quelle retrostanti, più lontane, sono trattate con pennellate più fluide e contorni sfumati secondo la tecnica che Michelangelo aveva probabilmente appreso dal suo contemporaneo Leonardo.

Giudizio Universale

Venti anni dopo aver terminato la sua opera nella volta, nel 1532 Michelangelo venne incaricato dal papa Clemente VII (1523-1534) di dipingere la parete di fondo dell’aula Sistina; ma cominciò il lavoro soltanto nel 1536 sotto il papa successivo, Paolo III Farnese (1534-1549), e lo concluse nel 1541, quando il 13 ottobre, con una solenne cerimonia, fu scoperto il grandioso affresco. Esso doveva anche costituire il simbolo della ritrovata supremazia del Papato dopo i tragici avvenimenti del 1527, in cui la città era stata messa al sacco dalle milizie mercenarie tedesche dei Lanzichenecchi, e dopo la crisi luterana che tanto aveva scosso l’autorità della Chiesa di Roma.

Il primo atto di Michelangelo era stato quello di foderare la parete interessata con un muro di mattoni leggermente inclinato in alto verso l’aula (26 centimetri), in modo che la polvere si depositasse meno facilmente sulla superficie e si potessero correggere visivamente le deformazioni prospettiche. In questo modo andarono perduti alcuni affreschi quattrocenteschi e le lunette dipinte dallo stesso Michelangelo.

Seppure ispirata ai testi biblici, in particolare al libro dell’Apocalisse, nonché alla Divina Commedia di Dante Alighieri, prevale nell’opera di Michelangelo la tragica visione filosofica dell’artista: al centro è Cristo che, affiancato dalla Madonna, con un semplice movimento delle braccia decide l’ineluttabile destino ultraterreno degli uomini; per alcuni vi sarà la salvezza (rappresentata dalle figure, a sinistra, che salgono verso il cielo), per i più vi sarà la condanna alla dannazione (i nudi, a destra, che precipitano verso l’Inferno).

Le figure si muovono come in un turbine, sullo sfondo di un cielo azzurro privo di supporto architettonico. I defunti, in basso a sinistra, i cui scheletri riacquistano progressivamente consistenza fino alla completa reincarnazione, sono svegliati dal lungo sonno dalle trombe degli angeli. Questi ultimi, privi di ali, sono posizionati al centro del dipinto e mostrano due libri: uno, più piccolo, tenuto in mano dall’Arcangelo Michele, che contiene i nomi dei beati, l’altro più grande, con l’elenco dei dannati.

A sinistra del Cristo sono riconoscibili: Sant’Andrea, di spalle, con la sua croce; San Giovanni Battista, dal corpo possente, che potrebbe rappresentare Adamo. In basso si trovano invece: San Lorenzo, con una scala per ricordare il supplizio subìto su una graticola posta sopra carboni ardenti; San Bartolomeo, che tiene in mano una pelle umana svuotata della carne (secondo alcuni, sarebbe il ritratto di Michelangelo). A destra è possibile distinguere: San Pietro, con il volto del papa committente Paolo III che porge le chiavi, una argentata e l’altra dorata; al di sotto San Biagio, che mostra i pettini di ferro della sua tortura e Santa Caterina d’Alessandria, con una mezzaluna dentata, allusiva al modo in cui fu martirizzata (queste due figure, soprattutto la prima, hanno subìto un consistente rifacimento nel 1565 per correggerne la posa, considerata impudica); a fianco è San Sebastiano, inginocchiato e con le frecce in mano. Poco più in basso sempre a destra, è la celebre figura di un dannato nell’atto di coprirsi un occhio, spaventato dalla terribile visione. Da sottolineare, ancora, la scena che ha come protagonista Caronte, mitico traghettatore presente nell’Eneide di Virgilio e nella Divina Commedia di Dante: egli spinge le anime dei peccatori fuori dalla barca verso l’Inferno per abbandonarli al loro drammatico destino. Questo gruppo è concluso, verso l’angolo, dalla figura di Biagio da Cesena, cerimoniere papale che aveva giudicato l’opera di Michelangelo degna di una sala da bagno o di una osteria: per vendicarsi, l’artista lo aveva rappresentato con le sembianze di Minosse, uno dei giudici dell’aldilà nella mitologia greco-romana, nell’atto d’indicare ai dannati il girone cui erano destinati, attraverso il numero delle spire di serpente avvolte sul suo corpo. Nell’alto dell’affresco, infine, sono rappresentati i simboli della passione di Cristo: la croce, la corona di spine, i dadi con cui giocarono le guardie, la colonna della Flagellazione, la spugna con cui era stato abbeverato.

Lo stile di Michelangelo è qui profondamente diverso da quello della volta ed esprime il suo mutato sentimento nei confronti della vita: Dio è il giudice severo che nessuno può contrastare, né la Madonna né tanto meno l’uomo. Per questo i corpi sono come appesantiti dal dolore, quasi portassero in sé le tracce dell’esperienza terrena. I colori spiccano sull’azzurro intenso dominante, e dalla gamma dei rossi passano, con poche eccezioni, alle tonalità del bruno e del verde fino al nero, a sottolineare la lettura tragica degli eventi. Soltanto dietro le figure di Cristo e della Madonna che ha il manto celeste, lo sfondo è ravvivato dal giallo intenso per sottolineare la potenza del braccio levato.

A causa delle decisioni del Concilio di Trento, chiusosi nel 1563 con la raccomandazione di fare eseguire negli ambienti sacri soltanto opere che avessero decoro e fossero conformi alle sacre scritture, gli affreschi del "Giudizio Universale" vennero nel 1565 ritoccati da un allievo di Michelangelo, Daniele da Volterra, che applicò veli e perizomi per coprire le nudità delle figure, venendo per questo soprannominato "il braghettone". Altri interventi furono eseguiti per lo stesso motivo alla fine del Cinquecento e nei due secoli successivi.

Al momento del restauro della parete si è molto discusso tra gli studiosi se asportare o meno queste coperture eseguite a secco, sostenendosi da parte di alcuni l’opportunità di rimettere in luce fedelmente l’opera di Michelangelo, da parte di altri la necessità di mantenerle quale segno del passaggio dell’opera d’arte nel tempo. Si è infine deciso di lasciare soltanto l’intervento di Daniele da Volterra, tangibile testimonianza di un’epoca storica, e di cancellare i rifacimenti successivi, perché, come ebbe a dire Giovanni Paolo II durante la messa dell’8 aprile 1994 tenuta nella Cappella per celebrarne la riapertura dopo il restauro, "la Cappella Sistina è proprio il santuario della teologia del corpo umano" ed "è una testimonianza alla bellezza dell’uomo creato da Dio come maschio e come femmina"; in essa Cristo ha espresso "l’intero mistero della visibilità dell’invisibile".

La tecnica pittorica di Michelangelo e i restauri della Cappella Sistina

Fra il 1980 e il 1994 accurati restauri sono stati condotti in Cappella Sistina da parte di un gruppo di specialisti dei Musei Vaticani coordinati dal direttore Carlo Pietrangeli, dal professor Fabrizio Mancinelli, storico dell’arte e direttore dei lavori, e da Gianluigi Colalucci, capo-restauratore, e hanno comportato la pulitura degli affreschi della "Volta", effettuata dal 1980 al 1992, e del "Giudizio", portata a termine nel 1994 dopo quattro anni di intenso lavoro.

Ne è emerso un Michelangelo nuovo, di cui si era persa memoria, perché il fumo delle candele e persino i restauri (che nei secoli precedenti erano consistiti in ridipinture o in interventi "ravvivanti" dei colori che però successivamente si erano degradati rendendo ancora più opachi i dipinti), avevano annerito le superfici, tanto da far ritenere in passato che Michelangelo desse più importanza al disegno che al colore. In seguito alla pulitura, molte pagine della critica d’arte sull’artista hanno dovuto essere aggiornate o riscritte integralmente.

Infatti, i colori "ritrovati" sono risultati chiari, vivaci, squillanti, accostati con grande sapienza pittorica perchè si riducesse l’effetto di appiattimento delle figure, inevitabilmente determinato dalla lontananza dell’occhio dello spettatore dai dipinti.

Di particolare interesse è l’uso dei "cangianti", ossia dell’accostamento di colori fortemente contrastanti (come nella figura della Sibilla Delfica o in quella del profeta Daniele, ma ancora di più nelle vele e nelle lunette) per accrescere i volumi e sottolineare la potenza delle masse.

Per la volta, Michelangelo ha usato colori molto liquidi e trasparenti, dati talora con pennellate veloci e decise che lasciano intravedere il fondo. I contorni sono in genere netti e decisi per le figure in primo piano, divengono sfumati con all’interno colorazioni più sommarie per le immagini retrostanti, quasi una lente mettesse a fuoco gli oggetti più vicini.

I colori usati dall’artista erano tutti di grande qualità, il che ha permesso la conservazione degli affreschi nel tempo: per i rossi e i gialli sono stati impiegati ocre (=minerali terrosi), per i verdi, silicati di ferro e per i blu polvere di lapislazzulo. Il lilla è il morellone (derivato da pianta erbacea con fiori viola), mentre il bianco è quello cosiddetto di San Giovanni ed il nero è carbone.

L’intervento di restauro ha rappresentato un evento di risonanza mondiale ed è consistito, dopo accuratissimi esami di laboratorio, in una prima fase di pulitura con acqua distillata, quindi nell’applicazione di un blando solvente che, pur asportando i vari strati di sporco, ha però mantenuto, a fini protettivi, un sottile velo di patina rappresentato dal primo strato di polvere depositatosi sugli affreschi subito dopo la loro dipintura.

Attualmente, nella Cappella l’aria è filtrata da condizionatori e un sofisticato impianto di monitoraggio verifica e controlla le condizioni ambientali della Cappella.

Fabbrica di San Pietro

Nel 1523 papa Clemente VII nominò una commissione stabile di sessanta periti alle dirette dipendenze della Santa Sede, con il compito di curare la costruzione e l’amministrazione della Basilica.

Nel 1589 papa Sisto V sottomise la commissione alla giurisdizione del Cardinale Arciprete della Basilica e pochi anni dopo, sotto il pontificato di Clemente VIII (1592-1605), venne sostituita con un apposito organo collegiale, denominato Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro, alla quale vennero riversate tutte le attribuzioni fino allora proprie della soppressa commissione. Oltre al Prefetto nella persona del Cardinale Arciprete della Basilica, la Congregazione era costituita da un certo numero di cardinali e prelati. Questo dicastero poteva nominare, nelle province dello Stato della Chiesa, propri delegati, in qualità di commissari della Reverenda Fabbrica, che duravano in carica un anno. Essi esercitavano giurisdizione propria ed erano competenti a giudicare in primo grado cause di ogni valore, contro le cui sentenze si poteva ricorrere in appello davanti alla Congregazione.

Nel 1863, durante il pontificato di Pio IX, vennero sottratti alla Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro tutti i poteri in materia contenziosa, che furono deferiti alla Congregazione del Concilio.

Con la riforma del 1908 di Pio X la Congregazione venne ridotta ad occuparsi esclusivamente dell’amministrazione della Fabbrica e nel 1967, in seguito alla riforma generale della Curia Romana attuata da papa Paolo VI, la Congregazione cessò di esistere come tale e venne annoverata tra le Amministrazioni Palatine.

Con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus del 1988, papa Giovanni Paolo II stabilì che "la Fabbrica di San Pietro secondo le proprie leggi continuerà ad occuparsi di tutto quanto riguarda la Basilica del Principe degli Apostoli sia per la conservazione e il decoro dell’edificio sia per la disciplina interna dei custodi e dei pellegrini che accedono per visitare il tempio".

Cupola

Fu progettata da Michelangelo, il quale dal 1547 si occupò ininterrottamente della Basilica. Alla fine della sua lunga vita (morì a 89 anni nel 1564) la costruzione era giunta fino al tamburo, caratterizzato da colonne binate, fortemente sporgenti, alternate a finestre timpanate.

Quindi la direzione della fabbrica passò a Giacomo Della Porta, allievo di Michelangelo, che innalzò di circa 7 metri la volta della cupola e portò a termine i lavori in soli 22 mesi, nel 1590, durante il pontificato di papa Sisto V.

A doppia calotta, la cupola ha un diametro interno di 42,56 metri ed un’altezza alla sommità della croce di 136,57 metri; la lanterna è alta 17 metri.

Essa è servita da modello nel mondo occidentale per successive realizzazioni: tra le tante, anche se costruite in modo tecnicamente diverso, la cupola di San Paolo a Londra (1675), quella Les Invalides a Parigi (1680-1691) e la neoclassica copertura del Campidoglio di Washington (1794-1817).

Facciata

È opera dell’architetto Carlo Maderno che la portò a termine nel 1614.

Larga 114,69 metri e alta 48 metri, si presenta con un ordine di colonne e lesene corinzie su cui è impostato un imponente cornicione con timpano centrale, coronato da una balaustrata sulla quale si innalzano tredici statue (alte quasi 6 metri) con al centro la statua del Redentore benedicente. Sulla trabeazione una iscrizione ricorda che i lavori furono compiuti sotto papa Paolo V Borghese (1605-1621).

Nell’ordine inferiore si aprono i cinque ingressi all’atrio, sopra i quali sono le nove finestre, tre delle quali con balcone. La finestra centrale è la cosiddetta "Loggia delle Benedizioni", dalla quale si affaccia il Papa per rivolgere il messaggio augurale con la benedizione apostolica urbi et orbi (alla città e al mondo) subito dopo la propria elezione ed in occasione delle festività di Natale e Pasqua.

Il restauro, terminato nel luglio del 1999, ha consentito il recupero di alcune coloriture o "scialbature" volute dal Maderno, nascoste sotto la patina del tempo.

La Piazza

Realizzata dal Bernini fra il 1656 e il 1667 sotto papa Alessandro VII (1655-1667), è composta di due parti: un primo spazio trapezoidale, delimitato dai due bracci rettilinei chiusi e convergenti che affiancano il sagrato, ed un secondo spazio di forma ellittica, compreso tra i due emicicli del quadruplice colonnato, perché, come ebbe a dire lo stesso Bernini, "essendo la chiesa di San Pietro quasi matrice di tutte le altre doveva avere un portico che per l’appunto dimostrasse di ricevere a braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella credenza, gli Heretici per riunirli nella Chiesa e gli Infedeli per illuminarli nella vera fede".

Il progetto berniniano originario prevedeva un terzo braccio porticato quale elemento di chiusura della piazza, ma la morte di Alessandro VII provocò l’interruzione dei lavori e il terzo braccio fu l’unica parte del progetto a non essere realizzata. Questa soluzione, che avrebbe dovuto chiudere l’intero complesso e separare l’ellisse dal quartiere di Borgo creando l’effetto sorpresa nel pellegrino che si immetteva nella piazza, era in parte recuperata dal tessuto urbano circostante, la cosiddetta "Spina di Borgo", che "chiudeva" la piazza.

Nel 1950, con l’apertura di via della Conciliazione al posto della Spina di Borgo, fu realizzata una nuova, ampia strada di accesso alla Basilica Vaticana che esalta la visuale maestosa della cupola di San Pietro, ma che ha profondamente alterato l’originario progetto berniniano. Le misure della piazza sono straordinarie: è profonda 320 metri con un diametro centrale di 240 metri ed è circondata da 4 file di 284 colonne e 88 pilastri. La balaustra sopra le colonne è coronata da 140 statue di Santi, alte 3,20 metri, realizzate intorno al 1670 da allievi del Bernini. Ai lati dell’obelisco, spostato al centro della piazza da Domenico Fontana nel 1585, le due grandi fontane del Bernini (1675) e del Maderno (1614). In basso, ai piedi della scalinata, le statue di San Pietro e San Paolo sembrano dare il benvenuto ai fedeli.

Di grande interesse la Scala Regia, che collega la piazza ai Palazzi Vaticani, considerata dallo stesso Bernini "… la meno cattiva cosa ch’egli avesse fatto". Realizzata tra il 1662 e il 1666, appare ben più lunga dei circa 60 metri reali, grazie ad alcuni accorgimenti prospettici quali il restringimento progressivo della larghezza e la diminuzione della distanza tra le colonne verso il fondo.

Tesoro di San Pietro

Dopo la Sagrestia comune, ambiente a pianta centrale tardo-settecentesco con colonne di spoglio provenienti dalla Villa Adriana di Tivoli, si ha accesso al Tesoro di San Pietro, dove sono esposti arredi sacri, statue, tiare papali e oggetti di diversa provenienza, spesso doni di re o principi. Tra le opere da segnalare il monumento funebre a Sisto IV (1471-1484) opera di Antonio del Pollaiolo, artista fiorentino del XV secolo: il sarcofago, che vede rappresentate, attorno al papa, le virtù e le arti liberali, fu eseguito nel 1493 su commissione del cardinale Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II.

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